STORIA
Antico centro basiliano, appartenne alla Badia di Santa Maria di Cersosimo di cui seguì le sorti fino al secolo XII. Posseduto per breve tempo dal conte Bertaimo d'Andria, passò ai Conti di Chiaromonte e da questi, nel 1319, ai Sanseverino di Tricarico. Assegnato a metà del secolo XIV ai Poderico, fu successivamente dei Pignatelli, dei Carafa (principi dal 1617) ed infine dei Donnaperna. Il nome Colobraro sembra sia derivato dal latino "colubarium" che significa territorio di serpenti, definizione dovuta al tipico paesaggio spoglio e roccioso di cui è circondato il paese.
IL “PAESE SENZA NOME”
Nei paesi vicini, il paese è chiamato anche, in modo scaramantico più che dispregiativo, "Quel paese", ciò a causa della presunta innominabilità della parola "Colobraro" per la credenza superstiziosa che la semplice evocazione del nome porti sfortuna. È divenuto leggenda metropolitana a tutti gli effetti che tale innominabilità risalga ad un aneddoto di prima della seconda guerra mondiale. L'allora podestà (carica istituzionale equivalente a quella odierna di sindaco), avvocato di grande cultura e persona molto nota alla fine di una sua affermazione avrebbe detto qualcosa del tipo: "Se non dico la verità, che possa cadere questo candelabro". A quanto pare in seguito il candelabro sarebbe caduto davvero, secondo alcuni facendo molte vittime, secondo altri in una stanza deserta. Più probabilmente, la sinistra fama del paese deriva dalla credenza, soprattutto degli abitanti dei paesi vicini, nelle arti magiche di alcune donne che vi dimoravano nel secolo scorso, tra cui la famosa "Cattre", al secolo Maddalena la Rocca, immortalata da Franco Pinna nei primi anni cinquanta. Il famoso antropologo Ernesto De Martino visitò il paese nel 1952 e nel 1954 e riferì di essere stato protagonista, in accordo con la superstizione, di episodi sfortunati insieme al suo gruppo di ricerca.
Nel sito del Comune di Colobraro, su questa storia del «paese innominabile» è attivo un forum in cui i cittadini rispondono alla loro sinistra nomina nel mondo più intelligente: con l’autoironia. C’è infatti chi scrive «Perché non pensare a visite guidate, gadgets, prodotti alimentari locali opportunamente vestiti per i superstiziosi».
Ma non tutte le dicerie vengono per nuocere. Qualche anno fa, ad esempio, grazie al ritornello del paese sfortunato, è stata attuata un'iniziativa con la Regione Basilicata e l'Unione europea dal titolo «Progetto Colobraro, terra del magico e del fantastico». Il progetto ha portato, tra l’altro, alla realizzazione di 10 cartoline che ritraggono il paese tra saette fantasmi e trombe d'aria.
DA VEDERE
Della storia di Colobraro sopravvivono i resti del Castello baronale, edificato nel XIII sulla cima della collina, il quale fu dimora di diversi feudatari come i Sanseverino, i Carafa e i Donnaperna, e il Convento dei Francescani (eretto nel 1601) con annessa la Chiesa di S. Antonio da Padova (ricca di stupendi altari marmorei). Di interesse è la vecchia Chiesa parrocchiale di S. Nicola, a tre navate, con un ampio portale di pietra ed un interessante Battistero e la Cappella di Santa Maria La Neve che è l’antica “laura” basiliana di Santa Maria di Cironofrio, fondata dai monaci intorno all’anno Mille.