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SAN PAOLO ALBANESE


STORIA

La comunità arbëreshe di San Paolo Albanese è una piccolissima minoranza etnico-linguistica di origine albanese, vissuta, per quasi cinque secoli, in totale isolamento, che mantiene attuali le singolari ed autentiche tradizioni, gli usi, i costumi, la lingua, il rito religioso greco-bizantino, le feste popolari, gli ambienti naturali ed umani, la memoria, le radici, l’identità. È una comunità di appena quattrocento abitanti, formata da  profughi albanesi insediatasi nelle terre impervie che furono loro concesse dai regnanti di Napoli. È approdata qui, come altre comunità nel resto dell’Italia meridionale, tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo, fuggendo dalle coste orientali dell’Adriatico dopo la morte dell’eroe Skanderbeg, nel 1468 e l’invasione ottomana dei territori balcani. La loro è la storia di un esodo di intere famiglie, con la propria cultura e i propri valori. Dedite inizialmente quasi solo alla pastorizia, si sono fermate ed hanno costruito i loro insediamenti, le loro case, segnando con le loro attività umane e con le loro opere, i luoghi e il paesaggio.

Soggetta poi a nuovi fenomeni migratori verso le Americhe, tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, e verso il Nord Europa e Nord Italia, negli anni ’60, la popolazione rimasta vive condizioni di arretratezza, di emarginazione, di disagio economico e sociale; ha un alto tasso di invecchiamento ed è in avanzatissimo declino demografico. Resta, ciononostante, portatrice di una diversità linguistica che è il segno distintivo della propria specificità arbëreshe. L’arbëresh di San Paolo è una lingua ancora non scritta e non letta; conserva forme ed usi linguistici arcaici, da cui, tuttavia, è possibile attingere per conoscere la storia della comunità. 

Gli Albanesi non hanno perso la propria identità, hanno resistito all’assimilazione. Nel mantenimento della loro diversità un ruolo forte l’hanno giocato proprio le condizioni di minoranza etnica, di marginalità geografica e di isolamento socio-economico, cui sono stati costretti. Si sono sommate, poi, le ragioni di una cultura agro-pastorale, materiale, “analfabeta”.

Nel territorio del Parco Nazionale del Pollino la presenza della minoranza etnico-linguistica di San Paolo Albanese è, oggi, una risorsa culturale unica e irripetibile, nell’area protetta più grande d’Europa

COSA VEDERE:

L’antica cultura delle origini albanese è custodita nel Museo della Cultura Arbëreshe di San Paolo Albanese. Esso è un luogo ed un modo di conservare, tutelare, valorizzare, promuovere l’identità culturale, territoriale, sociale, economica della comunità locale arbëreshe.

Nato come mostra agropastorale, nel 1975, e vissuto, negli anni immediatamente successivi, come recupero e valorizzazione degli oggetti della cultura materiale, lasciati nei loro contesti originari,  nelle case contadine del centro storico, il Museo è diventato istituzione culturale riconosciuta sia formalmente mediante gli atti amministrativi fondativi, nel 1984, sia attraverso le sue attività e gli eventi, che ha promosso o ai quali ha partecipato negli anni ‘80, ’90. Ha una struttura ricavata dal riuso di vecchie costruzioni disabitate del centro storico, nella quale sono esposti gli oggetti della cultura materiale, che documenta la cultura orale, popolare, agropastorale; sono testimoniate le radici e la identità della minoranza etnico-linguistica arbëreshe. Le funzioni della struttura espositiva sono completate dalla biblioteca specialistica per albanofoni, creata nel 1979, dalla mostra degli “Oggetti dalla memoria”, allestita nel 1987, e dal laboratorio artigianale ultimato nel 2000. Tra gli oggetti, i prodotti e gli attrezzi della vita domestica e lavorativa della comunità arbëreshe è esposto, in particolare evidenza, il ciclo di lavorazione della ginestra, dalla raccolta, alla trasformazione, alla produzione di tessuti. Il costume tradizionale rappresenta uno degli elementi più singolari ed interessanti del patrimonio culturale arbereshe.

 CUCINA

La tradizione gastronomica sanpaolese è tipicamente contadina, fatta, quindi, di cucina povera, ma di sapori antichi e genuini, che ancora oggi rivivono nelle preparazioni delle donne del paese. Di eccezionale sapore e profumo è il pane fatto in casa con lievito naturale. Tipici sono anche i dolci, preparati in particolare nelle festività natalizie e pasquali. Caratteristica è la bambola (nusëza) realizzata, con pasta “di pane di Pasqua” (Kulaç), per i bambini, sulla quale un uovo funge da testa.

FESTE RELIGIOSE

Particolarmente sentita è la festa di San Rocco, il santo patrono. Dopo la messa la statua del Santo, all’uscita della chiesa, viene fatta sostare davanti a dei pupazzi, nusazit, di cartapesta riempiti di petardi, montati su strutture rotanti, che dopo molti giri su se stessi vengono fatti esplodere. Segue poi la processione durante la quale la statua del Santo è preceduta dalla himunea, tronetto votivo di notevoli dimensioni, portato a spalla, realizzato con spighe di grano tenero e duro, che viene poi smembrato, alla fine della processione, dai partecipanti che portano a casa qualche spiga. In passato le spighe venivano sbriciolate nelle semenze dell’anno a venire. Davanti alla himunea muovono gli interpreti della danza del “falcetto”.

ANTICHI MESTIERI

La “Sparta”, come chiamano in lingua arbëreshe la ginestra a San Paolo Albanese, è una pianta da fibra, che cresce spontanea ed è diffusissima negli aridi terreni dell’Italia meridionale e dell’intero bacino del Mediterraneo. Ha rami a forma di giunchi di verde intenso e fiori giallo-dorati profumatissimi. Le donne anziane arbereshe, li utilzzano per creare dei meravigliosi tessuti. Il processo è un vero e proprio rito, che comincia nel mese di Marzo con la potatura e prosegue nei mesi di luglio ed agosto, con la raccolta ed il trasporto in paese, dove si fa la preparazione dei mazzi “kokullat”, la bollitura e la scavezzatura. La fibra scavezzata viene raccolta in mazzetti portati poi al fiume per la macerazione. Dopo circa otto-dieci giorni, si procede alla battitura della fibra, ancora bagnata. Con la “shpata” viene effettuata una successiva battitura della fibra asciutta. Si passa, poi, alla pettinatura, eseguita con un particolare pettine per liberare la fibra dalle impurità e per renderla soffice. Seguono, quindi, la filatura, l’aspatura e la colorazione. Il candeggio viene fatto con la liscivia, mentre la colorazione si ottiene, facendo bollire l’acqua con il mallo delle noci per ottenere il marrone, con la radice della robbia per ottenere il rosso, con l’euforbia o con i fiori della stessa ginestra per ottenere il giallo. Le fasi finali del processo di trasformazione della ginestra sono l’orditura, passaggio che consente di ordire la trama del tessuto da produrre, e la tessitura, realizzata con il telaio.

 

Published in Parco del Pollino
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