Super User

STORIA

Il paese presumibilmente venne fondato dai Goti che, dopo aver distrutto nel 410 l'antico centro agricolo di Anglona, edificarono sul territorio vicino la loro fortezza (il Castello). Attorno al Castello si rifugiarono i fuggiaschi di Anglona che possono ritenersi i primi abitatori del luogo. Intorno al 850 i Saraceni riuscìrono a conquistare il Metapontino e anche Tursi che a quel tempo era limitato alla zona, già abitata, della Rabatana.Gli arabi abitarono il nascente borgo e lo ingrandirono. La loro impronta è presente nel dialetto, negli usi e costumi e nelle case della Rabatana. Durante la breve permanenza dei Saraceni il borgo prese consistenza e fu denominato Rabatana a ricordo del loro borgo arabo (Rabhàdi).Nel 890 i Bizantini sconfissero i Saraceni e rioccuparono il "borgo Saraceno”. Sotto i Bizantini lo sviluppo demografico ed edilizio fu notevole e l’abitato si estese verso valle. Successivamente fu dominato dalle famiglie dei Sanseverino, dei Doria, dei Visconti e dei Colonna Doria. Dal 1600 la popolazione si ridusse a causa della peste e dell’emigrazione ma rimase sempre uno dei più popolosi paesi della Basilicata. Nell’ ottocento Tursi, a causa dell’emigrazione la popolazione scese sotto i 4000 abitanti.

 

COSE DA VEDERE

Scavi archeologici eseguiti nei pressi di Anglona e nei pressi di Policoro, hanno riportato alla luce innumerevoli opere attualmente custodite nel Museo archeologico nazionale della Siritide, accertando l'esistenza di insediamenti risalenti al 3000 a.C. Gli abitanti di queste zone erano denominati Enotri, in particolare però gli abitanti della zona compresa tra i fiumi Sinni ed Agri, venivano chiamati Coni. Di notevole interesse artistico è la Chiesa di Santa Maria Maggiore caratterizzata da un portale quattrocentesco e ubicata nel borgo antico. Risale al X - XI secolo e nel corso dei secoli ha subito diversi interventi tanto da perdere il suo originario stile. Nella prima metà del secolo XVIII è stata rifatta in stile barocco, conservando soltanto la facciata del ‘400. All’interno si possono ammirare un’acquasantiera in pietra lavorata, datata 1518, un crocifisso in legno del ‘400, le pitture del coro del ‘900 e il trittico trecentesco che raffigura la Vergine in trono con il Bambino e scene della vita di Gesù e della stessa vergine. Il quadro si fa risalire alla scuola di Giotto ed ha un pregevole valore artistico. L’ipogeo sottostante al presbiterio si compone di tre piccoli vani comunicanti che custodiscono l’altare dedicato a Santa Maria Maddalena e il sarcofago in pietra con lo stemma di San Giorgio della famiglia De Giorgiis, passato poi alla famiglia Doria.  I bellissimi affreschi della cappella rappresentano storie di Santi e iscrizioni in latino riguardanti la morte di due giovani della famiglia De Giorgiis. Gli affreschi sono attribuiti a Giovanni Todisco che li eseguì, tra il 1547 e il 1550. Dalla cappella si accede al presepe di pietra datato tra 1547-1550, attribuito ad Antonello Persio, di Montescaglioso, che ha lasciato significative tracce della sua arte scultorea a Matera e dintorni. Il Santuario Santa Maria di Anglona, è il luogo di culto più significativo della Diocesi di Tursi-Lagonegro, elevato a Pontificia Basilica Minore dal Santo Padre Giovanni Paolo II nel ’99. Questo bellissimo santuario medievale è l'unica testimonianza dell'esistenza dell'ormai scomparsa città di Anglona, la più importante di quest'area durante il Medio Evo. La chiesa sorge su un colle. Dopo essere stata dichiarata nel 1931 monumento nazionale, negli anni Settanta la Soprintendenza per i Beni artistici della Basilicata ha avviato una vasta opera di restauro all'interno. Di particolare interesse artistico è il complesso degli affreschi. Particolarmente difficile è la datazione delle origini della chiesa stessa che pare siano precedenti al 1100. Nel 1400, ai tempi della Regina Giovanna I, una centuria facinorosa di soldati la incendiò distruggendola completamente e risparmiò soltanto la Cattedrale. L’attuale struttura della Cattedrale di Anglona, viene datata tra il sec. XI ed il sec. XII e costituisce l’ampliamento di una prima chiesetta, risalente al VII-VIII sec. 

La costruzione, in tufo e travertino, presenta elementi architettonici di notevole importanza.  I recenti restauri hanno fatto rinvenire colore e splendore agli affreschi non ancora perduti. La parete sinistra, rifatta probabilmente a seguito di un crollo, è invece nuda ma doveva raffigurare scene del nuovo testamento.Sulla parete destra della navata centrale sono ancora ben visibili scene del vecchio testamento. La chiesa è consacrata alla Vergine Maria Santissima la cui festa ricorre il giorno 8 settembre.

La Rabatana è il quartiere originario da cui si sviluppò la città di Tursi, occupato anticamente dai Saraceni. È situata a nord-est del paese su una collina argillosa. L'origine del suo nome deriva dall'arabo "Rabad", che significa borgo. Le abitazioni conservano l'antica architettura, le strade sono in pietra. Nella parte più antica del borgo della Rabatana, attualmente disabitata, è ubicata la chiesa di Santa Maria Maggiore.  È circondata per ogni lato da profondi e inaccessibili burroni che. È stato il primo nucleo abitativo di Tursi. Intorno alla metà del V secolo d.c. i Goti costruirono il Castello attorno al quale sorsero le prime case in pietra e si costituì il vero primordiale nucleo di Tursi che crebbe a seguito dello spopolamento di Anglona.

Verso l’anno 850 la zona fu abitata dai Saraceni che lasciarono profonde tracce nell’architettura e nel dialetto. A ricordo dei loro villaggi arabi, i Saraceni denominarono il luogo Rabatana, da Rabat o Rabhàdi o Arabum tana. La Rabatana, per l’ottima posizione di difesa, continuò ad ingrandirsi sotto i Bizantini che nel 890 cacciarono i Saraceni. Fino alla metà del secolo scorso è stato un centro popolato e importante, custode di tradizioni e propulsore di cultura.

La Rabatana è meta di visitatori, locali, italiani e stranieri soprattutto per merito di Albino Pierro che ha fatto della Rabatana la fonte ispiratrice della sua poesia. 

Nella Rabatana si possono ripercorrere le stradine dei ruderi del nucleo primordiale e visitare quel che resta delle umili abitazioni, spesso di un solo vano a pianterreno.

Da Piazza Maria SS. di Anglona, a 346 metri di altezza, si scorgono i resti dell’antico Castello gotico.

Alcune parti del castello e i cunicoli sotterranei sono rimasti intatti a sfidare il tempo fino all'inizio del novecento. Fu costruito dai Goti, nel V sec. d.C., per difesa del territorio.

I recenti scavi nei pressi del castello hanno messo alla luce tombe, monete, frammenti di anfore e palle ogivali di piombo recanti la scritte greche e latine, usate, probabilmente, come proiettili lanciate con la fionda a difesa della fortezza.

Da atti del 1553 si rileva che il Castello era abitato fino al XVI secolo. Era costituito da due piani e due torri. Alcune stampe lo riportano di forma quadrangolare con torri nei quattro angoli. L’ingresso era regolato da un ponte levatoio. Dimora di signori, principi e marchesi, durante i periodi di guerra diventava una fortezza. Per tradizione si crede all’esistenza di un cunicolo tra la chiesa della Rabatana e il Castello che nei tempi antichi consentiva ai Signori di recarsi indisturbati in Chiesa.

ALBINO PIERRO

Albino Pierro nasce a Tursi, nel rione Rabatana, il 19 Novembre 1916. 

La madre muore giovanissima lasciando Albino ancora in fasce. 

Dopo aver studiato a Taranto, a Salerno, a Udine, consegue il diploma magistrale a Roma e si iscrive alla facoltà di Magistero. Dopo varie esperienze in lingua italiana, nel 1959 inizia a scrivere nel dialetto di Tursi. 

Il periodo della fanciullezza vissuta a Tursi scolpisce nella memoria visioni incancellabili, il ricordo della terra natia e il pensiero della madre accompagnano il poeta per tutta la vita e sono fonte ispiratrice delle sue poesie conosciute in ogni parte del mondo.

Tursi diventa il paese del ricordo, della fanciullezza, della nostalgia.

Nel 1975 vince il premio Carducci con la raccolta di liriche in dialetto "Nu belle fatte".

Più volte si fa il suo nome per l'assegnazione del premio Nobel.

Il 1992 l’Università di Basilicata gli conferisce la laurea Honoris Causa in lingua e letteratura straniera.

Il poeta muore a Roma il 23 marzo 1995, la salma, trasferita a Tursi il 25 e il giorno 26, riceve l’estremo omaggio di tutti i Tursitani. 

LA CASA DI PIERRO

La casa della famiglia Pierro, in piazza Plebiscito, è costituita da un seminterrato che si affaccia su Via Garibaldi e due piani elevati che si affacciano su corso Umberto I da dove si accede.

Albino Pierro chiama la sua casa "u paazze", a significare per lui la casa grande dove riceveva i suoi i suoi amici d’infanzia e dalla quale spesso sfuggiva ai suoi genitori per andare con i figli degli inservienti a giocare nei precipizi e parlare il dialetto di Tursi.

Oggi la casa è adibita, ai piani superiori, a "BIBLIOTECA PIERRO" ed è continua meta di turisti e studiosi che provengono da ogni parte del mondo.

 

TRADIZIONI

• La sera del 18 marzo è tradizione bruciare le frasche, raccolte tra i campi durante le potature, creando così grandi falò. La gente del luogo chiama l'evento u umnnàrie riferito al Falò di San Giuseppe. Tra i rioni c'è una sorta di competizione nella preparazione dell'evento, facendo una vera e propria gara su chi ha la migliore organizzazione. I cittadini si soffermano attorno al fuoco dove viene arrostita della carne e si balla a suon di tarantelle, suonate dal vivo da cittadini d'eccezione. Durante la serata si svolge anche la Festa della Focaccia. L'evento è molto antico e si svolge nella notte tra il 18 e il 19 marzo, giorno della festività di San Giuseppe.Con questo rito antichissimo si ricorda la sacra coppia di giovani sposi (San Giuseppe e la Madonna), in un paese straniero ed in attesa del loro banbino, che si videro rifiutata la richiesta di un riparo per il parto.

• Un'antica leggenda narra di un giovane pastorello che, mentre pascolava il suo gregge sulla sommità della collinaVariante, a metà strada tra Tursi ed Anglona, vide avvicinarsi una bellissima Signora, che gli chiese di recarsi in paese, per invitare gli abitanti del luogo ad andarLa a prendere. La gente prima incredula, poi sempre più curiosa si dirige sulla sommità della collina dove ritrova la statua della Madonna e la riporta nel suo santuario. Da allora tutti gli anni, l'ultima domenica di aprile, la Madonna viene portata a spalle per un percorso di oltre 10 km, dal Santuario dell’Anglona alla cattedrale dell'Annunziata di Tursi.

• Il 13 giugno il giorno della festa di Sant’Antonio di Padova  è tradizione recarsi a messa con un cestino pieno di panini. Durante la celebrazione i panini vengono benedetti dal vescovo e successivamente, tra le strade della città vengono donati alla gente meno abbiente.

• Il 13 dicembre, in occasione della festività di Santa Lucia, è uso locale cuocere il grano in pignatte di terracotta e mangiarlo, il giorno seguente, assieme a tutta la famiglia, con zucchero e cacao o fritto con peperoncino e cipolla.

• Anche il carnevale è ricco di tradizioni, alcune ormai cadute in disuso, infatti in passato si usava portare le serenate in casa degli amici o sotto la finestra della morosa, i ragazzi si vestono in maschera e girano il paese raccogliendo regalini. Tra le vie del paese scorre la classica sfilata dei carri che si conclude bruciandoli in piazza alla morte di carnevale.

 

STORIA

Le origini di Terranova di Pollino risalgono al XVI secolo quando fu fondata come feudo dello Stato dell’attuale Noepoli, del quale fece parte sino all'eversione della feudalità. I Pignatelli, principi di Noepoli, decisero di favorire l'insediamento di coloni nei loro vasti possedimenti, per incrementare l'economia del feudo, e così Terranovella, cioè “terra di recente insediamento”, fu la punta avanzata della loro colonizzazione agricola. 

 

DA VEDERE:

• La chiesa parrocchiale di San Francesco da Paola, costruita nel XVI secolo e restaurata nel 1930 conserva della chiesa originaria il portone principale in legno di pino loricato ed ornamenti marmorei. All'interno, a tre navate, vi è una pala d'altare del XVII secolo raffigurante la Madonna del Rosario circondata da 15 pannelli, ed un affresco raffigurante l'Ultima cena.

• La cappella della Madonna delle Grazie, risalente al XVI secolo conserva al suo interno una tela del 1500 raffigurante la Madonna delle Grazie. Nelle due nicchie laterali e nel presbiterio vi sono altri dipinti raffiguranti San Leonardo, San Vito e San Biagio.

Di grande interesse sono essenzialmente i siti naturalistici, trovandosi, Terranova, nel cuore del Parco Nazionale del Pollino.

• La Timpa Falconara, imponente parete rocciosa che domina il paesaggio della valle. È interessante notare la parete meridionale dove si denotano segni delle grandi forze della natura del passato, 

• Il lago Duglia, sul versante settentrionale della Serra di Crispo, ormai piccolo per effetto di un prosciugamento continuo negli anni.

• La gola della Garavina, profonda fenditura sul cui fondo scorre il Sarmento nella parte a monte dell'abitato; il letto del torrente, superato il paese, si apre invece in un'ampia fiumara.

• Il lago Fondo

• La Catusa, freschissima e copiosa sorgente; nella medesima contrada vi è la grotta dei briganti, con i nomi di coloro che vi si rifugiarono incisi sulle pareti.

• Timpe delle Murge, rocce basaltiche formatesi per estrusione di magma nelle profondità marine, sollevate successivamente in quota da profondi movimenti tettonici.

 

La lussureggiante vegetazione di boschi di faggi e di castagno è tipica nel territorio, che in estate è affermata meta turistica.

 

TRADIZIONI

• Il periodo di Carnevale, dove viene tuttora mantenuta la tradizione della "frassa". Secondo questa usanza in quei giorni dell'anno molti giovani del paese mascherati e organizzati con caratteristici strumenti musicali (organetto, zampogne e cupa-cupa) si recano nelle case dei concittadini effettuando rappresentazioni improvvisi di canti e balli tradizionali; successivamente si passa ad intrattenimenti a base di buona musica, canti popolari e pietanze nostrane con banchetti improvvisati di salsicce, prosciutto, pane di casa e vino di produzione Terranovese;

• Gli strumenti ancora usati sono il cupa-cupa, l'organetto, la zampogna, la ciaramella e la surdillina, tutti strumenti antichi e popolari per gli abitanti di Terranova.

 

EVENTI

• La festa di Sant'Antonio: in occasione della festa un abete viene tagliato e trainato dalla montagna fino al paese con buoi e trattori. Il trasporto è accompagnato da balli, danze e canti popolari. La mattina della festa viene allestito l’albero della cuccagna al quale vengono appesi prosciutti, salumi e formaggi ed ha luogo la competizione. Vince chi è più abile a salire sulla cima dell'abete( riti arborei).

• La festa della Madonna della Pietà: si tiene nella seconda domenica di settembre, con fiera e benedizione del bestiame il giorno precedente. La statua della Madonna viene trasferita dal santuario al paese in processione a cui partecipano donne con la tradizionale offerta dei cinti, tronetti in legno rivestiti di ceri e spighe di grano.

 

GASTRONOMIA: patata rossa

 

 

Comune della provincia di Matera il cui nome deriva dalla famiglia Hostiliusanus, dell’epoca romana; fondato dai Lucani, fu prima proprietà dei Greci di Metaponto, poi dei Longobardi, che lo posero nel Principato di Salerno, e successivamente del vescovo di Tricarico.  Nel 1269 andò a Carlo d'Angiò e nel 1289 Carlo II lo affidò alla potentissima famiglia napoletana dei Carafa, alla quale seguì quella spagnola dei duca di Medina, che lo eresse a capoluogo della Basilicata. Stigliano fece inoltre parte prima del Regno di Napoli e del Regno delle Due Sicilie, poi del Regno d'Italia nel 1861. Stigliano fu saccheggiato e devastato dalle bande dei briganti, diventando territorio di scontro tra i briganti di Carmine Crocco e l’esercito regio durante la Battaglia di Acinello. Stigliano è uno dei più importanti centri dell’entroterra lucano; collocato nelle vicinanze dei monti Serra e Puponero e del bosco Montepiano, è punto di partenza per interessanti escursioni.

 

 

 

Cose da vedere

IL CONVENTO DI S’ANTONIO

Il convento risale al XVII secolo, conserva un importante crocifisso ligneo, attribuito a padre Umile da Petralia, il quale secondo la tradizione popolare, si rese protagonista in passato di un prodigioso miracolo datato nel 1656, ovvero la liberazione della cittadina dalla peste. Stigliano fu liberata dal terribile morbo che aveva decimato la popolazione a circa 1600 anime. La chiesa presenta una facciata barocca del XVII secolo con un imponente campanile con cupola e due preziosi quadri del XVII secolo, attribuiti ad Antonio Stabile, uno dei quali raffigura la Vergine Maria col Bambino. Un altro dipinto risalente al XVIII secolo raffigurante l'Immacolata con Santo monaco è attribuito a Domenico Guarino. La chiesa è stata recentemente ristrutturata.

 

 

LA CHIESA MADRE

Dedicata a S. Maria Assunta, vanta numerose opere d’arte tra le quali spicca un sontuoso polittico del XVI secolo attribuito a Simone da Firenze, caratterizzato da una solenne statua della Vergine (Madonna del Polittico) e da dipinti del XVI sec. con santi, angeli e Dio Padre, . Esso apparteneva al convento di Sant'Antonio che fu distrutto nel XIX secolo così come una statua lignea di Sant'Anna con la Vergine e una Santa Lucia. La struttura della chiesa è caratterizzata da una splendida volta in legno dorato nella navata centrale e tante cupole nelle due navate laterali; la facciata è stile barocco. 

 

LE MASSERIE FORTIFICATE

Testimonianza di un mondo agricolo-pastorale molto ricco e produttivo, le masserie sono disseminate su tutto il territorio stiglianese.

 

 

E’ il comune più giovane del comprensorio, avendo ottenuto l’autonomia amministrativa da Moliterno solo nel 1946.

Tuttavia le origini del centro abitato sono molto antiche, essendo strettamente legato alla colonia romana di Grumentum, della quale probabilmente fu sobborgo. Il toponimo deriverebbe dal latino sarculum (luogo pieno di macchia e aperto a coltura), o dal greco sarkos (carne, luogo di carneficina).Secondo quest’ultima ipotesi, qui sarebbero sepolti i caduti di una sanguinosa battaglia tra Romani e Cartaginesi (III sec. a.C.). Lo stretto legame tra Sarconi e Grumentum è dimostrato anche dai resti di un acquedotto che univa i due centri, nonché dai ruderi di numerose ville, sicuramente di grumentini, rinvenute in località Cammarelle, dove ebbe origine il primo nucleo di Sarconi.

In epoca feudale Sarconi fu dominato da diversi signori. Verso la fine del’400 fu feudo dei Sanseverino, di cui visse le alterne fortune, per poi ritrovarsi nel’600 dominio dei Pignatelli, principi di Marsico Nuovo.

All’inizio del’700 il borgo contava più di 3000 anime. Nel 1806 la sua tranquillità fu spazzata via: per opera del sindaco, Nicola Lattaio, Sarconi divenne la capitale della resistenza antifrancese in Val d’Agri; la repressione dei francesi fu spietata.

Anche Sarconi subì il terribile terremoto del 1857.

Molti abitanti aderirono ai moti risorgimentali, nel 1860 issarono il vessillo carbonaro, e infine combatterono con Garibaldi. (www.comune.sarconi.pz.it)

 

 

 

DA VEDERE

CHIESA DI SANTA MARIA ASSUNTA

Costruita agli inizi del 1900 in sostituzione di quella rinascimentale distrutta dal terremoto del 1857.

Occupa dunque solo una delle navate che costituivano una preesistente chiesa rinascimentale; sulla facciata presenta iscrizioni provenienti dall’area archeologica di Grumentum e all’interno una tela della Madonna con Bambino.

 

 

EVENTI 

SAGRA DEL FAGIOLO

Definita la Capitale Europea del fagiolo, Sarconi si caratterizza infatti per la coltivazione,fondamentale per l’economia del paese, di fagioli, di cui esistono diverse ed apprezzate qualità; dunque fiore all’occhiello la produzione dei pregiati fagioli. Da ormai 30 anni si svolge qui in agosto la Sagra del Fagiolo, che richiama migliaia di turisti e durante la quale si possono gustare anche altri prodotti locali come miele e formaggi. www.fagiolidisarconi.it

 

Un’antica tradizione colloca la nascita del paese al 560 d.C. ed il suo toponimo deriva dal santo protettore del paese S. Michele Arcangelo

COSE DA VEDERE

CONVENTO  DI S. MARIA DI ORSOLEO

L'antico complesso monumentale, di cui non si conosce la data di costruzione, domina i paesi della Valle dell'Agri. Nel 1474 il conte Eligio della Marra costruì un monastero per i frati osservanti, inglobando la vecchia cappella di S. Maria. Rimaneggiato nel 1600 con l'aggiunta di nuove strutture, è appartenuto ai frati Minori Osservanti. Il chiostro, attorno a cui si sviluppa, conserva numerosi affreschi del 1500 che rappresentano episodi della vita di Cristo, tra cui una composizione raffigurante la Pietà, di San Francesco e scene allegoriche. Il linguaggio figurato dei pittori aveva la funzione di illustrare alle folle “illetterate ed analfabete” , i contenuti della fede e di narrare, con accenti ora aulici ora popolari, gli eventi religiosi. L’immagine attuale della chiesa è frutto dei restauri settecenteschi; questa è situata ad un lato del convento, conserva un altare intagliato ed il soffitto ligneo policromo. Prevale dunque nelle decorazioni l’intento didascalico, agiografico e persino teologico. La crescita rigogliosa del convento fu interrotta dalle dure leggi eversive post-unitarie che portarono alla soppressione di tutti gli Ordini e le congregazioni religiose. Nel 1800 l’intero complesso edilizio ha subito una completa opera di ristrutturazione, iniziata probabilmente nel 1836 e conclusasi nel 1857 a causa del terremoto che sconvolse la regione. Nel 1858 seguirono altri lavori per riparare i danni del terremoto e per restituire al convento il suo antico splendore. Nonostante il lungo periodo di restauro, è rimasta viva la tradizione del pellegrinaggio al santuario l'8 settembre di ogni anno.

 

TORRE MOLFESE

Fu costruita nell’XI sec. dai Bizantini, per controllare e difendere il territorio circostante dalle incursioni saracene; in seguito  fu acquistata dalla famiglia Molfese, che le ha restituito l’ antico aspetto. Forse la Torre, di pertinenza del monastero di Orsoleo, rendeva più sicuro il cammino dei monaci che dal monastero si dirigevano a Sant’Arcangelo. Oggi la Torre Molfese è Il Centro Regionale Lucano è una emanazione dell’Accademia di Storia dell’ Arte Sanitaria di Roma, Ente Morale dal 1922 (Molfese 1980), che ha quali finalità la gestione e l’arricchimento del Museo Storico Nazionale dell’Arte Sanitaria, della Biblioteca e dell’Archivio, la diffusione e l’incremento degli studi di arte sanitaria, in tutti i suoi aspetti e rapporti, l’attività divulgativa e la pubblicazione periodica di Atti e Memorie, Concorsi a premio, Corsi di Aggiornamento Obbligatori per Medici Specialisti, nonché, di recente, corsi di ECM (Educazione Continua per Medici) accreditati dal Ministero della Salute. A livello regionale il Centro Regionale Lucano dell’Accademia di Storia dell’Arte Sanitaria si prefigge, oltre le finalità istituzionali già esposte, di effettuare tramite il Centro Studi sulla Popolazione, ricerche sul territorio, culturali, sociali e sociosanitarie, nonché sulle modificazioni che avvengono nella popolazione ed in particolare sulla condizione dei giovani, degli emigranti, degli anziani, delle persone in situazione di handicap.

 

STORIA

La comunità arbëreshe di San Paolo Albanese è una piccolissima minoranza etnico-linguistica di origine albanese, vissuta, per quasi cinque secoli, in totale isolamento, che mantiene attuali le singolari ed autentiche tradizioni, gli usi, i costumi, la lingua, il rito religioso greco-bizantino, le feste popolari, gli ambienti naturali ed umani, la memoria, le radici, l’identità. È una comunità di appena quattrocento abitanti, formata da  profughi albanesi insediatasi nelle terre impervie che furono loro concesse dai regnanti di Napoli. È approdata qui, come altre comunità nel resto dell’Italia meridionale, tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo, fuggendo dalle coste orientali dell’Adriatico dopo la morte dell’eroe Skanderbeg, nel 1468 e l’invasione ottomana dei territori balcani. La loro è la storia di un esodo di intere famiglie, con la propria cultura e i propri valori. Dedite inizialmente quasi solo alla pastorizia, si sono fermate ed hanno costruito i loro insediamenti, le loro case, segnando con le loro attività umane e con le loro opere, i luoghi e il paesaggio.

Soggetta poi a nuovi fenomeni migratori verso le Americhe, tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, e verso il Nord Europa e Nord Italia, negli anni ’60, la popolazione rimasta vive condizioni di arretratezza, di emarginazione, di disagio economico e sociale; ha un alto tasso di invecchiamento ed è in avanzatissimo declino demografico. Resta, ciononostante, portatrice di una diversità linguistica che è il segno distintivo della propria specificità arbëreshe. L’arbëresh di San Paolo è una lingua ancora non scritta e non letta; conserva forme ed usi linguistici arcaici, da cui, tuttavia, è possibile attingere per conoscere la storia della comunità. 

Gli Albanesi non hanno perso la propria identità, hanno resistito all’assimilazione. Nel mantenimento della loro diversità un ruolo forte l’hanno giocato proprio le condizioni di minoranza etnica, di marginalità geografica e di isolamento socio-economico, cui sono stati costretti. Si sono sommate, poi, le ragioni di una cultura agro-pastorale, materiale, “analfabeta”.

Nel territorio del Parco Nazionale del Pollino la presenza della minoranza etnico-linguistica di San Paolo Albanese è, oggi, una risorsa culturale unica e irripetibile, nell’area protetta più grande d’Europa

COSA VEDERE:

L’antica cultura delle origini albanese è custodita nel Museo della Cultura Arbëreshe di San Paolo Albanese. Esso è un luogo ed un modo di conservare, tutelare, valorizzare, promuovere l’identità culturale, territoriale, sociale, economica della comunità locale arbëreshe.

Nato come mostra agropastorale, nel 1975, e vissuto, negli anni immediatamente successivi, come recupero e valorizzazione degli oggetti della cultura materiale, lasciati nei loro contesti originari,  nelle case contadine del centro storico, il Museo è diventato istituzione culturale riconosciuta sia formalmente mediante gli atti amministrativi fondativi, nel 1984, sia attraverso le sue attività e gli eventi, che ha promosso o ai quali ha partecipato negli anni ‘80, ’90. Ha una struttura ricavata dal riuso di vecchie costruzioni disabitate del centro storico, nella quale sono esposti gli oggetti della cultura materiale, che documenta la cultura orale, popolare, agropastorale; sono testimoniate le radici e la identità della minoranza etnico-linguistica arbëreshe. Le funzioni della struttura espositiva sono completate dalla biblioteca specialistica per albanofoni, creata nel 1979, dalla mostra degli “Oggetti dalla memoria”, allestita nel 1987, e dal laboratorio artigianale ultimato nel 2000. Tra gli oggetti, i prodotti e gli attrezzi della vita domestica e lavorativa della comunità arbëreshe è esposto, in particolare evidenza, il ciclo di lavorazione della ginestra, dalla raccolta, alla trasformazione, alla produzione di tessuti. Il costume tradizionale rappresenta uno degli elementi più singolari ed interessanti del patrimonio culturale arbereshe.

 CUCINA

La tradizione gastronomica sanpaolese è tipicamente contadina, fatta, quindi, di cucina povera, ma di sapori antichi e genuini, che ancora oggi rivivono nelle preparazioni delle donne del paese. Di eccezionale sapore e profumo è il pane fatto in casa con lievito naturale. Tipici sono anche i dolci, preparati in particolare nelle festività natalizie e pasquali. Caratteristica è la bambola (nusëza) realizzata, con pasta “di pane di Pasqua” (Kulaç), per i bambini, sulla quale un uovo funge da testa.

FESTE RELIGIOSE

Particolarmente sentita è la festa di San Rocco, il santo patrono. Dopo la messa la statua del Santo, all’uscita della chiesa, viene fatta sostare davanti a dei pupazzi, nusazit, di cartapesta riempiti di petardi, montati su strutture rotanti, che dopo molti giri su se stessi vengono fatti esplodere. Segue poi la processione durante la quale la statua del Santo è preceduta dalla himunea, tronetto votivo di notevoli dimensioni, portato a spalla, realizzato con spighe di grano tenero e duro, che viene poi smembrato, alla fine della processione, dai partecipanti che portano a casa qualche spiga. In passato le spighe venivano sbriciolate nelle semenze dell’anno a venire. Davanti alla himunea muovono gli interpreti della danza del “falcetto”.

ANTICHI MESTIERI

La “Sparta”, come chiamano in lingua arbëreshe la ginestra a San Paolo Albanese, è una pianta da fibra, che cresce spontanea ed è diffusissima negli aridi terreni dell’Italia meridionale e dell’intero bacino del Mediterraneo. Ha rami a forma di giunchi di verde intenso e fiori giallo-dorati profumatissimi. Le donne anziane arbereshe, li utilzzano per creare dei meravigliosi tessuti. Il processo è un vero e proprio rito, che comincia nel mese di Marzo con la potatura e prosegue nei mesi di luglio ed agosto, con la raccolta ed il trasporto in paese, dove si fa la preparazione dei mazzi “kokullat”, la bollitura e la scavezzatura. La fibra scavezzata viene raccolta in mazzetti portati poi al fiume per la macerazione. Dopo circa otto-dieci giorni, si procede alla battitura della fibra, ancora bagnata. Con la “shpata” viene effettuata una successiva battitura della fibra asciutta. Si passa, poi, alla pettinatura, eseguita con un particolare pettine per liberare la fibra dalle impurità e per renderla soffice. Seguono, quindi, la filatura, l’aspatura e la colorazione. Il candeggio viene fatto con la liscivia, mentre la colorazione si ottiene, facendo bollire l’acqua con il mallo delle noci per ottenere il marrone, con la radice della robbia per ottenere il rosso, con l’euforbia o con i fiori della stessa ginestra per ottenere il giallo. Le fasi finali del processo di trasformazione della ginestra sono l’orditura, passaggio che consente di ordire la trama del tessuto da produrre, e la tessitura, realizzata con il telaio.

 

STORIA

San Costantino Albanese è stato fondato da popolazioni albanesi provenienti dall'Albania e dalla Morea nel 1534 in seguito all'invasione ottomana dell'Impero Bizantino. Il re di Napoli li accolse destinando uno di questi gruppi presso Noja (l'attuale Noepoli). Il paese, basato su una economia povera, di carattere agricolo con coltivazioni di castagno, olivo, lino, ginestra, e cotone, fu premiato con dei privilegi regali, infatti fino al 1671 i suoi abitanti erano esenti dalle tasse e dai pesi fiscali poiché i regnanti spagnoli li premiarono per l'aiuto dato in passato nelle battaglie contro i turchi.

Venduto ai Pignatelli principi di Noja seguì le sorti degli altri Casali facenti parte dei loro domini.

Peculiarità dei suoi abitanti sono la lingua arbereshe, il costume tradizionale e il rito religioso cristiano- bizantino.

 

COSA VEDERE:

Interessante è il secentesco palazzo dei signori Pace di Venticalia, originato su di una precedente struttura edificata dai Pignatelli principi di Noja. Subì danni ingenti a causa del terremoto del 1783 e venne così più volte rimaneggiato. Conservava sino ai primi anni del XX secolo bei soffitti lignei affrescati cinqueenteschi con scene grottesche e mitologiche tra cui quello principale del salone che ricordava le Dodici fatiche di Eracle. Il palazzo fu poi sede dell'asilo infantile gestito dalle suore basiliane e poi, smembrato, venne adibito ad abitazioni private.

Si conservano ancora intatti l'imponente scalone di tufo che conduce alla loggia panoramica del terzo piano e la ricca cornice litica settecentesca del portone, opera di maestranze locali, sormontata dallo stemma di famiglia Pace che raffigura, in campo d'azzurro, due gemelli abbracciati reggenti in mano l'uno una stadera( bilancia di origine romana) e l'altro una corona d'ulivo e sedenti sopra la frase in greco "giustizia e pace si sono abbracciate".

 

La Chiesa madre dedicata a Santi Costantino ed Elena. L'edificio è stato ristrutturato esternamente assumendo un carattere sobrio ed imponente che domina l'intera piazza. L'interno, tipico della tipologia greco-ortodossa, si caratterizza per il variegato assortimento iconografico datato tra il XVI e il XVIII secolo. Spiccano, tra le altre raffigurazioni, il Giudizio universale, eseguito dall'iconografo albanese Josif Droboniku e dalla moglie Prifti. Interessante anche il battistero in rame rosso. Semi-nascosto tra i cerri e gli ulivi, nella parte alta dell’abitato, si trova il Santuario della Madonna della Stella, patrona del paese, che costituisce il cuore religioso della comunità. La Chiesa è fornita di un'iconostasi ricca di icone e di affreschi bizantini raffiguranti scene bibliche e santi della chiesa d'oriente e naturalmente la Madonna della Stella in una tela del XVII secolo. A quest’ultima è dedicata una bellissima festa che ospita un rito piuttosto particolare particolare, infatti, alla fine della messa, quando la statua della Madonna viene portata fuori per la processione, vengono incendiati alcuni pupazzi di cartapesta ( nusasit) dalle sembianze umane e a grandezza naturale, che rappresentano alcuni personaggi: una donna, un pastore, due fabbri e il diavolo. Questi sono riempiti di polvere pirica e vengono incendiati.

Una volta le punte estreme erano delimitate da due chiesette: una dedicata alla Madonna delle Grazie ancora oggi esistente; ed un'altra dedicata alla Madonna della Katistea, sin dal XVII secolo  e demolita una trentina di anni fa per la costruzione di una strada.

 

EVENTI:

-Sagra della transumanza a giugno

-Sagra della castagna nel primo fine settimana di novembre

-Orienteering: sport sviluppatosi nei paesi del nord Europa, è definito lo sport dei boschi perché il campo di gara è l’ambiente naturale, ma può essere praticato anche nei centri storici. È inteso come attività fisica da praticare di corsa o come rilassante passeggiata immersa nella natura. Vengono utilizzati, come supporti, una bussola ed una carta topografica. A San Costantino albanese, sin dal 1996, sono state organizzate molteplici manifestazioni, di corsa e a cavallo, i campionati studenteschi e regionali e interregionali, ambientati nel territorio del Pollino.

 

 

Sulla sua origine sono state formulate due ipotesi: una è quella che fa ricondurre la nascita di San Chirico Raparo all'antica città di Polisandra in località Noceto. La seconda fa risalire la nascita del centro alla fondazione dell'abbazia basiliana di Sant'Angelo sulle pendici del monte Raparo. Fu un'antica curia del Re Ruggero, e in seguito, feudo dei Balvano, dei Chiaromonte e dei Sanseverino. Alla metà del Settecento San Chirico era uno sviluppato centro per le manifatture tessili, infatti nel paese esisteva un laboratorio per la tessitura del cotone e della ginestra. Nel 1848 fu sede di un circolo costituzionale in cui si raccolsero le forze carbonare, e di un comitato insurrezionale che sancì un decennio di fermenti. Vi nacque nel 1757 il patriota Giuseppe D'Errico, ucciso dai borbonici nel 1802. Personaggi di rilievo furono, inoltre, il filosofo Francesco De Sarlo, titolare per oltre un trentennio della Cattedra di Filosofia Teoretica presso l'Università di Firenze e fondatore del primo Gabinetto di Psicologia Sperimentale in Italia presso lo stesso Ateneo.

 

COSE DA VEDERE

 

Interessante nel paese è palazzo Barletta in cui sono conservati arazzi e mobili d’epoca. 

Suggestiva è la chiesa parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo edificata sui resti di una precedente chiesa. All’interno sono conservati un crocifisso del Trecento proveniente dal monastero di Sant’Angelo, un polittico di Simone da Firenze, un calice in argento di stile barocco ed una fonte battesimale del Cinquecento.

In periferia sono situati gli ultimi ruderi dell’abbazia di Sant’Angelo in cui sono visibili le celle dei monaci scavate nella roccia. Inoltre nelle vicinanze, in una grotta, si possono ammirare alcune stalagmiti ed un affresco rupestre che raffigura San Michele. 

Caratteristica, nel territorio, è la sorgente del torrente Trigella il cui corso d’acqua scompare in autunno e riappare in primavera, fenomeno dovuto alla natura carsica del terreno. Alle pendici del monte Raparo sgorgano due sorgenti di acque sulfuree: la Santa Quaranta e la Cortignano, efficaci per la cura delle malattie della pelle e dei reumatismi. 

San Chirico è circondato da verdeggianti boschi come quello della Sella del Titolo, luogo ideale per passeggiate ed escursioni; la flora locale annovera una superficie boscosa di alto fusto e ceduo composta da piante di faggio, castagno, farnia e cerro.

 

 

 

Comune della parte meridionale della provincia di Matera, si trova nel Parco nazionale del Pollino.  Il paese infatti sorse nel 1534 ad opera di immigrati albanesi che, sfuggiti all'occupazione musulmana della loro patria, colonizzarono questo territorio che originariamente chiamarono Minullo o Minnuglio, probabilmente perché molto piccolo. È incerto se l'origine del nome derivi dal culto di San Giorgio, molto diffuso in zona, oppure dall'eroe albanese Giorgio Castriota Scanderbeg. A partire dal 1810 San Giorgio divenne comune autonomo e nel 1863 fu aggiunta la specificazione Lucano per distinguerlo dai numerosi altri comuni italiani aventi lo stesso nome. 

IL BOSCO NAZIONALE E MILLE GROTTE DI S. GIORGIO

San Giorgio Lucano circondato da zone boschive con aree attrezzate per punto di ristoro, è caratterizzato anche dal tipico paesaggio dei "calanchi", particolari avvallamenti provocati dall'erosione sui terreni argillosi. Non molto lontano dal paese, nel bosco "Pantano", vi è il Santuario della Madonna del Pantano, la cui chiesa fu costruita nel 1560 nelle vicinanze della grotta dove fu trovata la statua della Madonna. La statua è stata riprodotta in seguito al trafugamento dell'originale, avvenuto molti anni addietro. Le grotte di S. Giorgio diventano promotrici di eventi, tour guidati nelle grotte dal fascino tutto particolare. Nelle grotte di San Giorgio Lucano vi si avverte tutta la magia dei luoghi. Insoliti posti di frequentazione ed infisse su ripide pareti rocciose di arenaria, fanno del territorio una groviera di occhietti sulla valle del Sarmento e sui boschi che circondano l’abitato. L’anima del sangiorgese, percorrerle è un autentico viaggio nel tempo dove tradizioni e usi si tramandano tutt’oggi negli abitanti. È piacevole scoprire la grotta cantina e le grotte stalla dove tuttora si allevano maiali, conigli e galline. Il sangiorgese ama questi luoghi e non è raro che inviti i visitatori a bere in compagnia un fresco bicchiere di vino. Veri e propri quadretti che sono belvederi su boschi intatti e sulla splendida fiumara del Sarmento. Festose dimore d’allegria, a carnevale e a Spinnua Vutt’ l’8 dicembre. Una meta tutta da scoprire tra le bellezze del parco nazionale del Pollino.

 

Comune della provincia di Matera situato nella parte meridionale della Lucania prospiciente il Mare Ionio, in un territorio a nord morfologicamente caratterizzato da pianure discendenti a gradonate verso la costa, intersecate da ampi letti torrentizi che giungono direttamente al mare, e a sud-ovest dallo sviluppo di catene montuose. Definita il balcone dello Jonio per la sua felice posizione, era nota nell'antichità come Rutunda Maris.

CHIESA MADRE SANTA MARIA DELLE GRAZIE

La chiesa parrocchiale Santa Maria delle Grazie è stata costruita alla fine del 1500 ed aperta al pubblico nel 1587. Una chiesa inizialmente dalle dimensioni modeste che era costituita dalla sola navata centrale, più corta di quella attuale. 

Nei primi anni del 1600 fu completata con la costruzione delle cappelle laterali, finanziata da alcune famiglie rotondellesi. Sorse per opera del Cantore Don Geronimo Stigliano, dei suoi familiari e di tutti i cittadini di Rotondella. La chiesa fu ingrandita tra il 1750 e il 1755 perché insufficiente per la popolazione; il progetto fu redatto dall’architetto Domenico Faggiani. L’ampliamento consistette soprattutto nel portare avanti la facciata che in origine era allineata al campanile. Allora la popolazione la dotò di un organo e di un orologio situato in una piramide con cui finiva il campanile. Il campanile fu ricostruito nel 1802 nella stessa forma, ma danneggiato dal terremoto del 1857 fu privato della piramide e dell’orologio. Nella chiesa avveniva la sepoltura dei cadaveri, nel 1832 risultò insufficiente a causa delle epidemie, per questo la sepoltura fu fatta nel convento fino alla costruzione del Camposanto, avvenuta all’ inizio del nostro secolo. 

PALAZZO TUCCI

I vari palazzi oggi esistenti furono costruiti dopo il 1770, quando a Rotondella si supera definitivamente la crisi del 1764, la produzione riprende il suo ritmo normale e la coltivazione della bambagia diventa molto redditizia. Nel 1772 fu costruito il palazzo Tucci, l’attuale palazzo Cospito, dal sacerdote don Domenico Antonio Tuccio e dal nipote, legale Francesco Antonio. Gaetano Tuccio sposò Cesarea, la figlia primogenita di Francesco Antonio Albisinni. Importante è il portale lavorato in pietra con lo stemma della famiglia. 

 

Page 2 of 8