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Comune della collina materana, luogo caratteristico coperto di boschi di cerro tra cui il Bosco Le Manche e ricco di rocce di arenaria chiamata pietra di Gorgoglione. L'abitato ha origini antiche;infatti le prime notizie dell'attuale centro abitato risalgono ad una bolla papale del 1060, in cui si menzionavano le parrocchie appartenenti alla Diocesi di Tricarico. Compreso nella contea di Montescaglioso, appartenne in seguito ai Della Marra, che fecero edificare un poderoso castello del quale oggi restano solo alcuni ruderi, ai Carafa ed agli Spinelli. 1861 - Brigantaggio. Il 12 novembre 1861, dopo aver occupato Cirigliano, Carmine Crocco e José Borjèsmossero verso il paese di Gorgoglione dove entrarono senza incontrare resistenze. 

Cose da vedere

-Chiesa Madre di Santa Maria Assunta:costruita in stile romanico e poi trasformata in stile barocco, a tre navate

-La Grotta dei briganti, situata su una parete rocciosa e dimora dei briganti,durante il brigantaggio, rappresenta la più antica pagina della storia di Gorgoglione.

Eventi

-Festa patronale di S. Antonio: si festeggia il 13 giugno quando la statua del santo viene portata per le vie del paese in processione, alla quale partecipano anche gli animali come buoi, asini, muli ed animali domestici. La processione di conclude sul sagrato della chiesa con la benedizione degli animali e la distribuzione del pane benedetto.

Le prime tracce delle origini di Craco sono alcune tombe, che risalgono all'VIII secolo a.C.; fu riparo pei i coloni greci di Metaponto, insediamento bizantino, Erberto ne fu il primo feudatario tra il 1154 e il 1168. La struttura del borgo antico risale a questa epoca, in cui le case sono arroccate intorno al torrione quadrato che domina il centro. Durante il regno di Federico II, Craco fu un importante centro strategico militare e, come molti centri lucani, non fu estranea al brigantaggio. Negli anni sessanta, il centro storico ha conosciuto un'evacuazione che lo ha reso una vera e propria città fantasma. Tuttavia, questo fenomeno ha contribuito a rendere particolare l'abitato di Craco, che per tale caratteristica è diventato una meta turistica ed un set cinematografico per vari film. Nel 2010, il borgo è entrato nella lista dei monumenti da salvaguardare redatta dalla World Monuments Fund. Il comune, nella realizzazione di un piano di recupero del borgo, ha istituito, dalla primavera del 2011, un percorso di visita guidata, lungo un itinerario messo in sicurezza, che permette di percorrere il corso principale del paese, fino a giungere a quello che resta della vecchia piazza principale, sprofondata in seguito alla frana. Il territorio è vario, con predominanza dei calanchi, profondi solchi scavati in un terreno cretoso dalla discesa a valle delle acque piovane; i viaggiatori che si avventurano a Craco s’immergeranno in un’atmosfera a dir poco surreale.

CINETURISMO

Craco, definita la città fantasma, è stata scelta da molti registi come location per i loro film. Da citare La passione di Cristo (2004) di Mel Gibson, ove Craco fu scelta dal regista come sfondo durante la scena dell'impiccagione di Giuda, e Cristo si è fermato a Eboli (1979) di Francesco Rosi: nell'episodio dell'arrivo di Carlo Levi alla nuova destinazione di confino, Gagliano. Per l'occasione furono disposti sulle prime case del paese degli stendardi a lutto, per ricreare lo scenario descritto nel libro, i quali ancora oggi sono visibili. Vari sono gli eventi legati al turismo: mostra ed archivio storico delle produzioni cinematografiche realizzate a Craco, mostre digitali, seminari ecc…

STORIA

Antico centro basiliano, appartenne alla Badia di Santa Maria di Cersosimo di cui seguì le sorti fino al secolo XII. Posseduto per breve tempo dal conte Bertaimo d'Andria, passò ai Conti di Chiaromonte e da questi, nel 1319, ai Sanseverino di Tricarico.  Assegnato a metà del secolo XIV ai Poderico, fu successivamente dei Pignatelli, dei Carafa (principi dal 1617) ed infine dei Donnaperna. Il nome Colobraro sembra sia derivato dal latino "colubarium" che significa territorio di serpenti, definizione dovuta al tipico paesaggio spoglio e roccioso di cui è circondato il paese.

IL “PAESE SENZA NOME”

Nei paesi vicini, il paese è chiamato anche, in modo scaramantico più che dispregiativo, "Quel paese", ciò a causa della presunta innominabilità della parola "Colobraro" per la credenza superstiziosa che la semplice evocazione del nome porti sfortuna. È divenuto leggenda metropolitana a tutti gli effetti che tale innominabilità risalga ad un aneddoto di prima della seconda guerra mondiale. L'allora podestà (carica istituzionale equivalente a quella odierna di sindaco), avvocato di grande cultura e persona molto nota alla fine di una sua affermazione avrebbe detto qualcosa del tipo: "Se non dico la verità, che possa cadere questo candelabro". A quanto pare in seguito il candelabro sarebbe caduto davvero, secondo alcuni facendo molte vittime, secondo altri in una stanza deserta. Più probabilmente, la sinistra fama del paese deriva dalla credenza, soprattutto degli abitanti dei paesi vicini, nelle arti magiche di alcune donne che vi dimoravano nel secolo scorso, tra cui la famosa "Cattre", al secolo Maddalena la Rocca, immortalata da Franco Pinna nei primi anni cinquanta. Il famoso antropologo Ernesto De Martino visitò il paese nel 1952 e nel 1954 e riferì di essere stato protagonista, in accordo con la superstizione, di episodi sfortunati insieme al suo gruppo di ricerca.

 

Nel sito del Comune di Colobraro, su questa storia del «paese innominabile» è attivo un forum in cui i cittadini rispondono alla loro sinistra nomina nel mondo più intelligente: con l’autoironia. C’è infatti chi scrive «Perché non pensare a visite guidate, gadgets, prodotti alimentari locali opportunamente vestiti per i superstiziosi». 

 

Ma non tutte le dicerie vengono per nuocere. Qualche anno fa, ad esempio, grazie al ritornello del paese sfortunato, è stata attuata un'iniziativa con la Regione Basilicata e l'Unione europea dal titolo «Progetto Colobraro, terra del magico e del fantastico». Il progetto ha portato, tra l’altro, alla realizzazione di 10 cartoline che ritraggono il paese tra saette fantasmi e trombe d'aria. 

DA VEDERE

Della storia di Colobraro sopravvivono i resti del Castello  baronale, edificato nel XIII sulla cima della collina, il quale fu dimora di diversi feudatari come i Sanseverino, i Carafa e i Donnaperna, e  il  Convento dei Francescani (eretto nel 1601) con annessa la Chiesa  di S. Antonio da Padova (ricca di stupendi altari marmorei). Di interesse è la vecchia Chiesa  parrocchiale di S. Nicola, a tre navate, con un ampio portale  di pietra ed un interessante Battistero e la Cappella di Santa  Maria La Neve che è l’antica “laura” basiliana di Santa Maria di Cironofrio, fondata dai monaci intorno  all’anno Mille.

 

Cirigliano sorge raccolto su un rilievo contornato da alte montagne e fitti boschi, lungo il torrente Sauro. Il centro trae la sua etimologia da “Caerellius” perché edificato nella proprietà di Cerellio presumibile centurione Romano al quale furono donate queste terre per meriti sul campo di battaglia. Si dice che Cirigliano fosse una tappa obbligata per chi da Heraclea doveva recarsi a Potenza o a Tricarico. Il paese è cinto da torri e mura a conferma che trattasi di un borgo medievale. Feudo dei Pagano di Cirigliano, il paese appartenne in seguito a diversi signori tra cui i Formica, ai quali si deve, nel 1593, la costruzione del Castello. 

Nella giornata del 12 novembre 1861 le formazioni capitanate da Carmine Crocco e Josè Borjès, mossero verso Cirigliano per disarmare i militi della locale guardia nazionale.

 

DA VEDERE

Nel centro del paese si erge imponente l’antico Castello feudale, costruito nel 1595, con la sua suggestiva torre ovale e l’annessa cappella dell’ Addolorata nella quale si conserva tra l’altro una Pietà del ‘600 incastonata su un tempietto di legno decorato e un dipinto di Madonna con Bambino di Giovanni De Gregorio.

La Chiesa madre dell’ Assunta che conserva pregevoli dipinti ed affreschi e due statue di San Giacomo.

Fra la chiesa Madre e il castello dei baroni si può ammirare il grazioso ed accogliente centro storico con le sue “strette”, le abitazioni ad archetti e piccole volti nonché gli antichi palazzi tra i quali spicca palazzo Fanelli (ex proprietà della famiglia Giuncale) attuale sede della casa parrocchiale e della casa di riposo per anziani.

Vi sono sul territorio del Comune i resti di 3 mulini ad acqua:

• mulino Santa Maria Vignola, costruito nell’anno della carità 1848 dai Formica

• mulino Don Carmine

• mulino di Rupicelli, riservato solo agli abitanti dell'omonima contrada

Il paese, dal castello ai palazzi dalle case alle strade è tutto rigorosamente costruito in "pietra di Cirigliano". La "pietra di Cirigliano", ancora oggi estratta dalle sue cave, costituisce un'importante risorsa, per l'artigianato che la lavora e per la sua commercializzazione. Esempi evidenti di valorizzazione della pietra sono: la cappella di S. Lucia, la piazza del paese.

A circa due km. dal paese tra il verde degli ulivi e dei vigneti, si può ammirare la cappella della Madonna della grotta scavata nella roccia viva da un brigante pentito.

 

CULTURA:

Manifestazioni tradizionali più significative per Cirigliano sono: il carnevale e la torre d’argento:

- Il carnevale, di antichissima tradizione culturale (1200-1300), rito propiziatorio tra il sacro e il profano rappresenta le stagioni e i mesi dell’anno esaltando per ognuno di essi le colture e le tradizioni proprie.

- La "Torre d’argento" è una manifestazione culturale più recente nella quale viene attribuito il premio omonimo ad un personaggio Lucano distintosi oltre i confini regionali nei vari campi della vita sociale.

 

CUCINA:

Piatti tipici di Cirigliano sono le letratte, un tipo di pasta fatta in casa, e la rafanata, una frittata a base di rafano.

 

 

 

Il nome, Castrum Medianum (Castello Mezzano) fa riferimento alla suddetta fortezza Normanna posizionata al centro fra i due Castelli di Pietrapertosa e Brindisi di Montagna. Le origini di Castelmezzano sono datate circa tra il VI ed il V secolo a.C., quando dei coloni greci penetrarono nella valle del Basento e fondarono un centro abitato chiamato Maudoro, cioè mondo d'oro. 

Nel sec. X d.C., le scorrerie dei Saraceni nelle zone interne costringono la popolazione di Maudoro a cercare un posto più sicuro. Sarebbe stato il pastore Paolino a scoprire, addentrandosi verso est, una naturale fortezza costituita do cuglie di rocce a strapiombo, dalle cui cime si potevano respingere gli invasori facendo rotolare grandi massi di pietra. La prima roccaforte fu longobarda, poi, verso il Mille, subentrarono i Normanni a difenderla dai Saraceni già insediati nella vicina Pietrapertosa.

Intorno al Mille i Normanni vi costruirono un castello. Del fortilizio sono ancora visibili i resti delle mura e la gradinata scavata nella roccia che consentiva l’accesso al punto di vedetta più alto, da cui si domina l’intera valle del Basento. Con l’occupazione normanna il borgo vive un periodo di prosperità: il feudo viene concesso ai fedeli dell’Imperatore e cresce il potere delle comunità religiose. Con gli Angioini comincia la decadenza. 

Sotto il dominio Aragonese ( XIV-XVI sec.) il feudo cambia di proprietà di molte volte, ma solo verso il 1580, quando viene nominato barone Giovanni Antonio De Leonardis, migliorano le condizioni sociali della popolazione. La fine del potere feudale risale al 1805.

Nella prima metà del XIX secolo, si afferma il fenomeno del brigantaggio: tra i nascondigli naturali delle rocce e della macchia boschiva molti diseredati trovano qui il loro ambiente ideale. Alla fine del secolo si fa invece rilevante il dramma dell’emigrazione che spinge oltreoceano molte famiglie.

 

COSA VEDERE

Attrattore principale che caratterizza tanto Castelmezzano quanto Pietrapertosa è il Volo dell’Angelo. I due comuni, presentano un paesaggio particolarmente affascinante comunque ci si muova lungo le strade che conducono ai due borghi situati in prossimità di vette disposte una di fronte all’altra. Proprio questa particolare ubicazione consente di effettuare un incredibile volo attraverso lo spazio che separa i due paesi.

Un’avventura a contatto con la natura e con un paesaggio unico, alla scoperta della vera anima del territorio.

 

Legati con tutta sicurezza da un’apposita imbracatura e agganciati ad un cavo d’acciaio il visitatore potrà provare per quale minuto l’ebbrezza del volo e si lascerà scivolare in una fantastica avventura, unica in Italia ma anche nel Mondo per la bellezza del paesaggio e per l’altezza massima di sorvolo.

Arrivati in uno dei due splendidi borghi, si avrà la possibilità di girare tra le abitazioni, incastonate tra le rocce, di fare suggestive escursioni storico-naturalistiche, di degustare i prodotti locali ma soprattutto godersi lo splendido panorama circostante da una nuova visuale, insolita e soprattutto ricca di emozione. www.volodellangelo.com

www.parcogallipolicognato.it

 

Nel 2007, la rivista americana “Budget travel” definì Castelmezzano tra le migliori località del pianeta. 

Scenografico è l´arrivo in paese, che compare improvvisamente, adagiato ad anfiteatro alla parete rocciosa, subito fuori da una galleria scavata nella roccia, dopo il superamento di una spettacolare gola. Suggestiva proprio l’esistenza di questo abitato interamente ricavato nella roccia, come pochi ce ne sono al mondo.

La Chiesa Madre “Santa Maria dell’Olmo” che custodisce una cornice in pietra ed una icona bizantina rappresentante la “Madonna della Stella Mattutina” risalenti all’XI sec. d. C., delle sculture lignee dei XIV e XVsec.,  dei quadri dello Scerra e del Pietrafesa e una decorazione in ferro battuto del XVIII sec., capolavoro dell’artigianato locale.

Il percorso storico-ambientale “Le pietre che parlano”, che attraversa il centro abitato fino ai ruderi del Castello Normanno dove una grandissima gradinata scavata nella roccia, stretta e ripida di quasi cinquanta gradini, porta in cima, ove la vedetta della guarnigione militare sorvegliava la sottostante Valle del Basento.

 

Il territorio è ideale per escursioni attraverso paesaggi di suggestiva bellezza, come la vallata del torrente Caperrino, che segna il confine tra il paese e Pietrapertosa.Lungo il corso del torrente si possono ammirare i ruderi di vecchi mulini.

Come giganti emersi dal mare si levano imponenti le Dolomiti Lucane, con spettacolari guglie e sagome che hanno suggerito nomi fantasiosi come l’aquila reale, l’incudine, la grande madre, la civetta.

Le Dolomiti Lucane sono montagne la cui nascita risale al periodo del Miocene medio circa 15 milioni di anni fa durante il quale si formarono in fondo al mare le arenarie che oggi ne costituiscono le rocce. Il gruppo di montagne più elevato è quello della Costa di S. Martino chiamato Piccole Dolomiti in quanto ricorda le caratteristiche delle famose Pule Trentine. Altrettanto importanti sono i picchi delle Murge di Castelmezzano e le guglie di Monte Carrozze.

Negli anfratti più inaccessibili, fanno il loro nido splendidi esemplari di cicogna nera, nibbio reale, gheppio, falco pellegrino. Benchè le guglie risultano quasi prive di vegetazione, si trovano interessanti specie di piante quali la valeriana rossa, la lunaria annua, l’onosma lucana. Le spettacolari cime sono in netto contrasto con il paesaggio circostante caratterizzato da forme più dolci e arrotondate come la vicina montagna del Capperino. A rendere ancor più suggestivo il luogo vi è il torrente Rio di Capperino, un affluente del Basento che ha scavato una profonda gola che divide a Nord le Murge di Castelmezzano dalla Costa di S. Martino a sud. www.dolomitilucane.it

 

CUCINA

Tradizione nuziale “ Le Crostole”. Sono dolci ricoperti di zucchero e miele. 

 

Quindici giorni prima che gli sposi convolino a nozze, i rispettivi genitori preparano questi deliziosi dolcetti e omaggiano tutti gli invitati (di solito l’evento coinvolge quasi tutta la popolazione). La caratteristica delle “Crostole “ va otre il loro squisito sapore, ed interessa il procedimento di preparazione che impegna una intera notte. Le donne del paese si riuniscono a casa dei genitori degli sposi e con dovizia danno il via all’opera di preparazione. A consegnargli saranno dei “postini speciali”: tutte ragazze non sposate. Questa solenne tradizione cela in sé un doppio auspicio: per gli sposi le uova sono il simbolo della fecondità della coppia; per le “speciali postine” c’è l’augurio di coronare al più presto il loro sogno d’amore. 

 

Le buone pratiche. 

 

La Chiesa Madre Santa Maria dell’Olmo, edificata tutta in pietra locale nella Piazza Principale del paese. All’interno si possono ammirare due statue lignee raffiguranti la Madonna dell’Olmo risalente al ‘400, un altare stile barocco in legno con al centro un dipinto disegnato su una pietra, alcuni quadri di un famoso pittore lucano del ‘600. 

 

La Cappella di Santa Maria, la Chiesa Rupestre Madonna dell’Ascensione immersa tra le rocce con attiguo cimitero pre-napoleonico. 

 

Diversi Palazzi gentilizi: Palazzo Merlino, Palazzo Parrella, Palazzo Coiro, Palazzo Paternò, Palazzo Campagna e il grandissimo Palazzo Ducale De Lerma. 

 

EVENTI

 

La sagra della Cuccìa: durante la festa di Santa Lucia, Castelmezzano festeggia il suo piatto tipico, la Cuccìa per l'appunto. Dagli ingredienti poveri ma dal sapore ricco, questo tradizionale piatto tipico ha bisogno di una preparazione che segue un rituale che si tramanda di generazione in generazione. 

La sera della vigilia le donne mettono in ammollo il grano, che verrà poi messo a bollire insieme ai ceci le fave e le cicerchie, in un grande calderone, la famosa Pignat di creta. La cottura viene fatta a fuoco lento per circa tre ore. Dopo la benedizione e la Santa Messa, nel cortile della Chiesa Madre, il piatto viene finalmente distribuito ai fedeli, che potranno gustarlo condito con un pizzico di sale in compagnia del generoso vino locale, come segno di buon auspicio.

 

 

L'origine del paese risale ai Longobardi, che scelsero questo luogo per l'edificazione della roccaforte per il controllo della vallata sottostante. La roccaforte, circondata da una cinta muraria ancora oggi visibile, fu governata da diverse famiglie feudali fino ai Caracciolo, che la tennero sino agli inizi del nostro secolo.E' tra i pochi paesi della Basilicata che ha conservato la sua struttura architettonica di borgo medioevale. 

Per le vie del paese si possono ammirare palazzi nobiliari con portali ed androni finemente lavorati, mentre in piazza Municipio è situato il monumento in bronzo che ricorda la figura di Mario Pagano, giurista e patriota originario di Brienza.

COSE DA VEDERE:

-CASTELLO

Il castello,che secondo la tradizione era composto da 365 stanze, tante quanti i giorni dell’anno, sorge su un colle scosceso e difficilmente accessibile. Nel Medioevo si presentava protetto, secondo il metodo delle fortificazioni longobarde, da una cortina muraria, formata dalle mura delle case, addossate le une alle altre, che costituivano una valida difesa. Le prime testimonianze documentate risalgono all’epoca angioina, ma probabilmente la data di fondazione del maniero risulterebbe precedente e datata intorno al IV secolo. I caratteri predominanti sono quelli angioini che tuttora si possono leggere nelle diroccate mura dell’antico castello nella torre principale cilindrica e nella semitorre circolare. Dei molti proprietari che l’hanno posseduto gli unici di cui sia rimasta notizia sono i Caracciolo che lo acquistarono nel 1428. Tra gli esponenti della famiglia merita menzione Giuseppe Litterio Caracciolo, X marchese di Brienza, che oltre a prendere serie iniziative umanitarie per migliorare le precarie condizioni dei suoi sudditi, restaurò ed ampliò il maniero. I Caracciolo rimasero proprietari del feudo e del castello fino al 1857. Il feudo passo in eredità ai Barracco, ed ebbe così inizio la, lenta decadenza del feudo e del maniero. All’inizio del 1900 venne dichiarato di interesse storico. In seguito al terremoto dell’ 80 subì il crollo della parete est e sud, in seguito recuperate attraverso il restauro attuato dalla Sopraintendenza ai Beni Archeologici e Ambientali della Basilicata.

-BORGO MEDIEVALE

Il borgo medioevale di Brienza riveste un notevole interesse storico ed ambientale, per le sue caratteristiche storiche, culturali e morfologiche. È costituito da piccole case di due o tre piani, realizzate in pietrame con tecniche modeste.Le strade sono costituite da piccole viuzze tipiche dell'epoca. Il borgo si presenta oggi in stato di avanzato degrado per i danni subiti dai terremoti del 1857 e 1980; Nel borgo sono presenti anche edifici religiosi come quello della Chiesa Madre.  

RISTORAZIONE PARTICOLARE

Il B&B “La Voce del Fiume” è una dimora storica situata nel Borgo Medievale a pochi metri dalla Piazza Sedile da cui si accede al maestoso Castello Caracciolo. Conserva gli elementi caratteristici ed originali della struttura del borgo medievale. Unisce in equilibrata combinazione, antichi ambienti e nuovi confort. Ideale per una fuga romantica o per una vacanza all’insegna del relax. Per il suo particolare valore storico e architettonico è stato censito tra i Beni Ambientali e Culturali della Basilicata. Chi vi soggiorna può notare i portali d’ingresso con le tettoie in legno e i coppi originali che definiscono la facciata con i caratteristici infissi in legno con scuretti. Ringhiere in ferro lavorato e pareti interne con pietre a vista e pavimenti in cotto originale. Una grotta naturale attende i visitatori interessati a concedersi il piacere di assaporare i prodotti tipici del territorio.

www.vocedelfiume.it

B&B La Voce del Fiume

Vico del Carmine 85050 Brienza (PZ)

Tel. 3332666256

 

EVENTI:

-NOTTI AL CASTELLO

Nel periodo estivo la Po loco di Brienza in collaborazione con l’Associazione musicale Burgentina e con il patrocinio del Comune, organizza l’evento divenuto ormai fisso di “Notti al Castello”, dove per l’occasione si aprono anche le sale interne del Castello Caracciolo, solitamente chiuse al pubblico per i lavori di restauro della Sopraintendenza ai Beni Culturali di Basilicata. All’interno del castello è possibile visitare mostre di pittura e fotografia, dedicate all’oggettistica al design e all’arredamento. 

È possibile poi assistere a concerti, conferenze, sfilate. Sono previste serate di intrattenimento e gastronomia in tutto il borgo medievale dell’antica Burgentia, aperto per l’occasione.

 

-VIVI IL MEDIOEVO

Nel mese di giugno o settembre la Pro loco di Brienza in collaborazione con l’Associazione culturale “Musica vita mia” organizza una manifestazione di rievocazione storica della durata di 2,3 giorni. L’evento che coinvolge circa 200 figuranti, fa rivivere suggestioni di vita medioevale tra dame, nobili cavalieri, squilli di trombe e rulli di tamburi. La sfilata percorre tutte le vie del borgo fino a raggiungere le porte del Castello Caraciolo. Durante la manifestazione è possibile assistere a momenti di spettacolo e intrattenimento con danze balli e piatti tipici. L’atmosfera ricreata rievoca, attraverso scene di vita quotidiana e di lavoro artigianale un tempo perduto.

 

-FESTA DEL CROCIFISSO

È  la festa più sentita dalla popolazione locale. Si svolge in due diversi periodi dell’anno, la prima domenica di maggio e la terza di settembre e segnano rispettivamente la salita del Crocifisso, attraverso una processione, sull’omonimo santuario, in montagna, e la discesa, tramite processione, verso la Chiesa Madre in città. Secondo la tradizione questa festa risale al XIII secolo, quando fu istituita la cappella in montagna a seguito di un miracolo avvenuto nei paraggi. Un momento caratteristico di questa festività religiosa è il “volo dell’angelo”, che si svolge nella piazza centrale del paese dove la processione di settembre si sposta dopo la messa: un bambino, vestito da angelo, sospeso a mezz’aria su un cavo viene calato e sollevato per sette volte sul Crocifisso e la Madonna, mostrando ai fedeli i sette simboli della Passione: incenso, calice, corona di spine, spada, croce, lancia, cero. La festa si conclude con fuochi d’artificio.

 

STORIA

Il paese prende il nome da quello del feudatario, Bernardino de Bernardo, segretario della corte aragonese, che fece ricostruire il castello, dimora della sua famiglia. Alcune testimonianze fanno risalire la nascita del paese ai romani, che saccheggiando la vicina Metaponto, costrinsero gli abitanti a fuggire sulla collina fondando Camarda. Sempre sotto la dominazione aragonese vennero costruiti il Castello e la Chiesa Madre. Nel 1735 dimorò a Bernalda, Carlo III di Borbone il quale volle visitare i territori del suo regno appena acquisito in seguito alla guerra di successione polacca, per la grande ospitalità ricevuta il re volle premiare il paese e con un decreto le conferì il titolo di città. Negli anni venti dell’800 l’economia del paese è ancora basata su olio,grano, legumi, cotone e pascoli. Non manca la pesca, grazie alla vicinanza del fiume Basento e la caccia nei boschi limitrofi. Nel XVII sec., Bernalda divenne anche sede di un importante studio di medicina tenuto da Matteo Parisio. Dopo l'Unità d'Italia e la fine del brigantaggio, il paese si spopolò e molti dei suoi abitanti emigrarono verso le Americhe, sperando in una vita migliore. Negli anni ’80 la città ha avuto un notevole sviluppo urbanistico. 

DA VISITARE

Il Castello, oggi adibito ad abitazioni, è stato rifatto più volte. La prima costruzione risale ai normanni, nell’ XI secolo, ad opera di Riccardo da Camarda. Fino al 1470 il castello fu abitato da vari signori, tra i quali si ricordano Pietro Tempesta e Bernando del Balzo. Nel castello fu ospitato, nel 1735, Carlo III di Borbone, che agli inizi del suo regno volle personalmente visitare i territori del napoletano avuti in seguito alla guerra di successione polacca. Attualmente, oltre alle tre torri ancora i piedi, esistono tracce di almeno altre cinque. Esse erano formate da un piano interrato, adibito prevalentemente a deposito, da un piano terreno, e da due piani superiori aperti sul cortile. Il castello possiede almeno quattordici pozzi, utilizzati dagli abitanti per rifornirsi d'acqua in caso d'assedio.

 

Accanto al castello è visibile la Chiesa Madre di San Bernardino, con esterno in mattoni rossi e cupole bizantine. Il nucleo originario risulta piccolo e proporzionato alla popolazione iniziale del villaggio. Nasce infatti come chiesa ad una sola navata. Nel corso degli anni subì sostanziali ampliamenti. Particolare la presenza di cripte riservate ai corpi dei bambini che morivano entro il settimo anno di età.

 

Chiesa del Carmine: Questa chiesa è molto antica ed è andata soggetta ad almeno due o tre rifacimenti ed ampliamenti, prima di raggiungere le attuali dimensioni. Nel 1678 la chiesa è dotata di un solo altare con l'immagine della Madonna del Carmelo dipinta sul muro.

 

Chiesa del Convento: Il Convento di sant'Antonio da Padova, con l'annessa chiesa, fu fondato nel 1616. Al momento della intitolazione della chiesa di formarono due fazioni tra i fedeli: una voleva che fosse dedicata all'Immacolata, l'altra a san'Antonio da Padova. Per non scontentare nessuno ci si affidò alla sorte, che scelse san'Antonio. Il prospetto attuale della chiesa fu costruito nell'Ottocento. Dopo l'unità d'Italia, si dispose la conversione del patrimonio immobiliare di tutti gli enti ecclesiastici. Tali conseguenze videro l'allontanamento dei religiosi e l'arrivo degli uffici comunali. Di notevole importanza in questa chiesa il Crocifisso ottocentesco che vede Cristo inchiodato sulla croce con il capo reclinato sulla spalla destra e i fianchi cinti da un drappo bianco.

 

Dal 1933 fa parte del comune di Bernalda anche la frazione di Metaponto, noto centro balneare e ricco di testimonianze archeologiche. A Bernalda è dunque presente sia un turismo di stampo prettamente balneare e del divertimento (il mare della costa bernaldese nell'anno 2006 ha avuto il titolo di Bandiera Blu per la limpidezza e pulizia delle sue spiagge) che archeologico e culturale, infatti nel territorio di Metaponto è presente una città di origine greca ben conservata e un colonnato che apparterrebbe ad una scuola pitagorica. 

 

 

METAPONTO

Frazione del comune di Bernalda, si trova al centro del Golfo di Taranto sul Mar Jonio, sulla Costa Jonica della Basilicata. E’ un luogo ricco di storia e di  magnifiche testimonianze della Civiltà Magno-Greca, quindi importante zona balneare e culturale, nei mesi estivi è meta di un buon flusso turistico. Fu fondata da coloni greci dell'Acaia nella seconda metà del VII secolo a.C., su richiesta di Sibari, per proteggersi dall'espansione di Taranto. Divenne molto presto una delle città più importanti della Magna Grecia. La ricchezza economica della città proveniva principalmente dalla fertilità del suo territorio, testimoniata dalla spiga d'orzo che veniva raffigurata sulle monete di Metaponto e che divenne il simbolo stesso della città e che essa inviava in dono a Delfi. A Metaponto visse e operò, fino alla fine dei suoi giorni nel 490 a.C., Pitagora che vi fondò una delle sue scuole. Metaponto stabilì un'alleanza con Crotone e Sibari e partecipò alla distruzione di Siris nel VI secolo a.C.; nel 413 a.C. aiutò Atene nella sua spedizione in Sicilia e nel 280 a.C. si alleò invece contro Roma con Pirro e Taranto, durante la Battaglia di Heraclea del 280 a.C. Quando Roma vinse definitivamente la guerra contro Pirro, Metaponto fu duramente punita e alcuni esuli metapontini trovarono rifugio a Pistoicos, unica città che era rimasta fedele a Metaponto durante la guerra. Altri esuli metapontini trovarono ospitalità a Genusium, l'attuale Ginosa. Metaponto intanto subì uno sconvolgimento del tessuto urbano in seguito alla realizzazione, sul lato orientale della città, di un castrum, nel quale si insediò una guarnigione romana. Nel 207 a.C. offrì ospitalità ad Annibale e i romani la punirono nuovamente, distruggendola. Divenne allora città federata riacquistando il suo splendore intorno al I secolo a.C. L'espansione urbana della città continuò fino all'età romana. Nel 72 - 73 a.C. la piana di Metaponto fu teatro del passaggio dell’esercito di schiavi e disperati di guidati da Spartaco. Difatti i primi successi contro l'esercito di Roma permisero a Spartaco di raccogliere nuovi consensi, anche nella zone della Lucania, nelle quali si incontrò con il pirata cilicio Tigrane (presumibilmente re Tigrane II) per organizzare il sospirato imbarco da Brindisi verso la Cilicia, poi fallito per il tradimento di quest’ultimo. Ciò coincise con la decadenza e col progressivo abbandono della città, che venne lentamente ricoperta dai sedimenti alluvionali dei fiumi. A poca distanza dalla città moderna è situata l'area archeologica di Metaponto con le sue rovine tra cui spiccano le celeberrime Tavole Palatine e il museo archeologico nazionale . Metaponto è una delle località ideali per chi vuole godere il mare e il caldo sole del Sud; la spiaggia si presenta ampia e sabbiosa, con lidi attrezzati al servizio dei bagnanti e degli amanti della vela. Inoltre Metaponto viene denominata “California del Sud” per la fiorente agricoltura che qui si è sviluppata, la Pianura Metapontina è oggi il fiore all'occhiello dell'economia lucana. Da queste terre partono per l'Europa e per tutta Italia quantità enormi di frutta e ortaggi che, grazie a un clima costantemente mite, sulla costa jonica la bella stagione inizia a fine marzo e termina ai primi di novembre, maturano con circa uno o due mesi di anticipo rispetto alle coltivazioni di pianure più a nord.

 

 

DA VEDERE:

Il Museo archeologico nazionale di Metaponto è un museo situato a Metaponto, in Basilicata.

Ospita i principali reperti rinvenuti nel territorio circostante l'antica Metaponto e alcuni reperti provenienti dalla vicina zona di Pisticci e dall'area archeologica dell'Incoronata, ivi situata.

Il museo si articola in 4 sale:

• i reperti preistorici

• la colonizzazione greca tra VIII secolo a.C. e VII secolo a.C.

• l'integrazione tra greci e indigeni

• l'età romana

I reperti esposti di epoca preistorica consistono in vari oggetti e suppellettili rinvenuti in corredi funerari tra cui spiccano gioielli e oggetti in bronzo e in avorio di altà qualità.

La maggioranza delle testimonianze di età greca provengono dal sito dell'Incoronata di Pisticci, con coppe, tazze e ceramiche decorate, tra cui spicca l'incensiere con fusto decorato da animali e scene mitologiche. Di datazione successiva sono invece i reperti provenienti dai templi di Metaponto con numerosi vasi e coppe dipinte.

Di età romana sono invece le ceramiche grige ellenistiche, sigillate romane e africane e tardoimperiali dell'Asia Minore.

Il museo è di competenza della Soprintendenza archeologica della Basilicata.

 

TAVOLE PALATINE

I resti del monumento sono situati nell'area archeologica di Metaponto, più precisamente sull'ultima ondulazione dei Givoni, antichi cordoni litoranei, presso la sponda destra del fiume Bradano, eretto sui resti di un antico villaggio neolitico. Il tempio, restaurato nel 1961, era stato inizialmente attribuito al culto della dea Atena. Il tempio era anche chiamato "Scuola di Pitagora", in memoria del grande filosofo Pitagora. La costruzione originaria aveva 6 colonne sul lato corto e 12 colonne su quello lungo, ma ne rimangono solo 15, disposte in due ali, rispettivamente di 10 e 5 colonne ciascuna, le quali sostengono due pezzi dell'architrave.

Nelle vicinanze del tempio vennero rinvenuti infatti, durante gli scavi del 1926, numerosi resti dell'antica decorazione in terracotta, statuette, ceramiche e altri pezzi di colonne esposti al Museo archeologico nazionale di Metaponto.

 

NECROPOLI IN CRUCINIA

 La necropoli urbana di Metaponto si dispone come una cintura intorno alla città. Il nucleo principale, costituito da tombe databili tra la fine del VII ed il II secolo a.C., è collocato nel settore occidentale della contrada Crucinia tra la Strada Statale Ionica 106 ed il moderno borgo residenziale. In generale le aree sepolcrali sono disposte ai margini delle strade che collegavano l’abitato con il territorio. 

Il rito praticato è quello dell’inumazione. Il defunto è posto in posizione distesa e supina secondo il costume funerario greco; non mancano tuttavia attestazioni del rituale a cremazione.

Le deposizioni risultano aggregate in gruppi, spesso con evidenti affinità tipologiche. Questo suggerisce l’ipotesi che lo spazio funerario sia stato diviso per lotti ed assegnato alle singole famiglie per il seppellimento dei loro congiunti. Il tipo prevalente è rappresentato dalla semplice fossa terragna, in cui è alloggiata la cassa lignea contenente il defunto, e dalla copertura di tegole. Altrettanto frequenti risultano le sepolture in lastra di calcare perfettamente squadrate. Spesso la loro copertura è confermata come il tetto di un edificio. Il calcare, materiale pregiato proviene da numerose zone della puglia meridionale(antica Massapia e Peucezia) ricche di buone cave di carparo e tufo. Non mancano le tombe “a sarcofago”, con la cassa ricavata all’interno di un unico blocco di tufo e quelle a semplice fosse terragna con le pareti rivestite da intonaco bianco.

 

 Il complesso più significativo è collocato al centro del parco della Necropoli ed è costituito dalla grande tomba a camera con scalinata di accesso (dromos). La camera sepolcrale (cella) presenta una pianta rettangolare e pareti costituita da blocchi di carparo disposti su quattro file sovrapposte. I muri interni hanno perso l’originario intonaco ed erano decorati nella parte superiore da una cornice modanata. L’inclinazione del corridoio rispetto all’asse principale della cella conferisce alla pianta una forma trapezoidale, distorta ed inconsueta.

Sui bordi di alcuni blocchi impiegati nella composizione delle tombe si leggono spesso segni incisi che indicano con molta verosimiglianza la cava di provenienza dei materiali o il gruppo famigliare di destinazione degli stessi.

 

AREA ARCHEOLOGICA

L’area archeologica di Metaponto è ubicata in provincia di Matera nel comune di Bernalda. Nei pressi degli scavi è stato sistemato un moderno e spazioso museo archeologico che si integra con gli altri della zona.

 

Il toponimo deriverebbe da Ara Jani, Ara di Giano (tempio scoperto dal Lacava nei pressi dell’attuale paese) e trasformato poi in Barajanum e quindi italianizzato in Baragiano; i Normanni la chiamavano Baresanum. Lo storico Michele Lacava asserisce di aver trovato resti di cinta muraria fortificata formata da grossi massi andati distrutti in occasione della costruzione della strada che allaccia il paese allo scalo ferroviario. La presenza misteriosa della vita di questo paese che affonda le sue radici nella notte dei tempi sembra confermata dalle testimonianze della Magna Grecia (tomba di stile dorico del VI-VII secolo a.C.), dai ritrovamenti archeologici fittili di tipo arcaico del IV secolo a.C. (produzione indigena, acroma o decorata a fasce e motivi floreali e geometrici) e dai rinvenimenti del periodo romano (scoperti durante gli scavi per la costruzione dell’edificio scolastico della scuola media) che andarono distrutti. Un documento del 1124 indica che Baragiano apparteneva a Landolfo, principe longobardo. Nel Catalogo dei Baroni (1150-1168) è feudo di Riccardo di S. Sofia. Fu successivamente possesso dei De Sangro, dei Caracciolo, dei Caracciolo di Avellino ed infine dei Caracciolo di Torella fino all’abolizione della feudalità. I baragianesi diedero prova di spirito di iniziativa e di attaccamento alla libertà nel 1799, battendosi per la repubblica partenopea e nel 1860 prendendo parte attiva alla spedizione di Garibaldi. Nel 1861 il paese fu occupato dai briganti, comandati dal picernese Saverio Cerbasi, detto Spavento, che diffusero panico tra la gente fino all’arrivo della truppe regolari. 

Nel centro storico è possibile ammirare i portali delle famiglie gentilizie, in particolare degni di nota sono il Palazzo Iura e il Palazzo Venetucci.

Nella parte alta del paese vi è ciò che rimane dell'antico castello. Interessante è la chiesa di S. Maria Assunta di origine rinascimentale, poi modificata e ristrutturata nel corso del tempo.La facciata è semplice e arricchita da tre stele in pietra, all'interno si possono ammirare la statua dell'Assunta, nella parte sinistra un crocifisso ligneo del XVII-XVIII sec., nella parte destra un'acquasantiera su un basamento in pietra e la statua lignea della Madonna del Carmine del XVI sec.

Da visitare sono anche la Cappella di S. Rocco del XVI sec. e la chiesa dell'Annunziata del XV sec.

 

L’ARECHEOPARCO DEL BASILEUS

L’archeoparco può essere definito un punto di riferimento, una “porta d’ingresso” per un viaggio nella storia e nel mito attraverso l’archeologia lucana e per mezzo di postazioni scenografiche in un percorso emozionale che avvicina il visitatore alla riscoperta del mondo dei più antichi popoli della Basilicata: i Peuketiantes, e dei rapporti di questi con la Magna Grecia e gli Etruschi. Situato in località Toppo Sant’Antonio presenta, lungo il percorso di visita, accanto alle aree archeologiche, la ricostruzione di alcuni momenti della vita quotidiana lungo due secoli di storia lucana.

www.archeoparco.it

 

TEL. 320/9714681- Staff dell’Archeoparco

         0971/997071- Comune di Bargiano

ORARI: Dal lunedì al venerdì

m. 10.00-14.00

p. 15.00-20.00

 

COME ARRIVARE

In auto:

A3 Salerno-Reggio Calabria uscita Sicignano.

E847 Sicignano-Potenza uscita Baragiano

Sp83 per Baragiano seguendo la segnaletica per il centro e per l’Archeoparco.

In treno:

FFSS linea Napoli-Taranto, fermata stazione Baragiano.

 

STORIA

Su Avigliano, paese dal toponimo e dalle origini incerte, sono state elaborate diverse teorie ed ipotesi. Una leggenda vuole che il centro sia stato fondati dai Sanniti, attratti dalla sicurezza del luogo e dalla salubrità dell'aria, intorno al V secolo a.C. Altre leggende fanno derivare il toponimo di Avigliano o da Avis locum,luogo dell'uccello,perché ricco in particolare di uccelli o da Avilia, nome di una famiglia gentilizia romana. L'aviglianese Andrea Corbo, nel suo libro Memorie patrie e ricordi di famiglia (Roma 1895), ipotizza invece che il nome derivi da locum avellani, luogo dei noccioli, ampiamente presenti sul territori. Sembra tuttavia più attendibile l'ipotesi che Avigliano sia sorta su un “fundus Avilianus” tra la fine della Repubblica e l'inizio dell'Impero romano. Pochi anni fa, infatti, è stata ritrovata in località S. Pietro, al confine con i comuni di Ruoti e di Bella, una lapide funeraria dedicata ad una donna della famiglia Villiana; si ipotizza quindi che l'abitato abbia preso denominazione da questa famiglia che viveva nella zona. 

 

COSE DA VEDERE

Chiesa Madre 

La pianta del tempio è a croce latina, a tre navate; l'abside è molto profonda: in essa, ad ulteriore conferma delle origini lontane della Chiesa, risalenti all'epoca in cui la funzione corale doveva essere in auge, si può osservare un grande coro in legno, chiuso sul davanti da un pregevole altare in marmi policromi, ad imitazione barocco.

 

Basilica Pontificia Minore S.Maria del Carmine. Il culto per Maria, presso gli aviglianesi, è antichissimo e praticato fin dai primi tempi della nascita della comunità. La tradizione vuole che la devozione per la Madonna del Carmelo si sia diffusa in Avigliano, prima che in altre terre della Basilicata, ad opera di alcuni reduci delle Crociate che avevano portato dall’Oriente tale culto. 

 

Santuario di Santa Maria del Carmine

Edificato in onore della santa per aver salvato la città da un temibile terremoto nel 1696

 

Chiesa di S.Maria degli Angeli, annessa al Monastero dei Padri Riformati; i suoi portali sono decorati da stipiti lavorati a punta di diamante (bugnato), mentre l’interno è a due navate di stile barocco molto decorate. Di pregevole fattura sono gli altari realizzati in legno intagliato e decorato che esaltano l’originalità dello stile barocco.

 

EVENTI E MANIFESTAZONI

 

16 luglio, si festeggia la Madonna del Carmine, la cui statua, ricoperta d'oro e accompagnata dai cinti (altari di candele), sale in processione dalla Chiesa Madre alla Cappella del Monte Carmine, a pochi chilometri dall’abitato, dove resta fino alla seconda domenica di settembre, giorno in cui si festeggia il ritorno. 

 

L'ultimo venerdì, sabato e domenica di agosto, Sagra del Baccalà e dei prodotti tipici aviglianesi, degustazione di buon cibo, musica e spettacolo in lingua locale, mostra dell’artigianato aviglianese con realizzazioni in ceramica, legno, ferro battuto, tessuto ricavato da telai e nella popolare balestra di Avigliano

 

 

 

 

 

PRODOTTI TIPICI

Il baccalà, piatto tipico della cucina aviglianese, dopo averlo essiccato e salato, può essere presentato in tavola in mille varianti: con i peperoni “cruschi”, con le olive, le patate o può diventare un ottimo ingrediente per il sugo con cavatelli, orecchiette o strascinati.

 

Taralli all’aviglianese

 

“la cpuddata”

 

“m’stazzuoli”

 

“fusidd”

 

“cautarogn cu la sauzizza”

 

 

 

TURISMO E RISTORAZIONE

 

Hotel Summa

 

Ristorante da Tuccio

 

Ristorante La Pietra del Sale

 

Le prime notizie, sulle sue origini, risalgono al periodo della colonizzazione greca, quando i coloni penetrati nel territorio della costa jonica, si spinsero verso l'interno e ne occuparono la vallata e le alture del fiume Agri. . Del periodo romano sappiamo invece che il console Terenzio Lucano, reduce da Cartagine, venne a risiedere nel luogo chiamato Casale, e le rovine del suo palazzo sono tuttora visibili. Con l'arrivo dei monaci brasiliani, che attorno all'anno Mille si stanziarono in Val d'Agri, Armento riacquista importanza. Fu più volte saccheggiata dai Saraceni. Appartenne ai Longobardi che risiedevano a Salerno, poi dalla metà dell' XI sec. fu donata dai Normanni al Vescovo di Tricarico. Successivamente fu sottoposta al dominio delle famiglie Sanseverino e Carafa. . Nell'Ottocento seguì le vicende dei moti carbonari prima, e dell'insurrezione lucana poi, passando al Regno d'Italia. Il paese, nel 1850, fu distrutto quasi del tutto da una frana.

Si presume che originariamente il suo nome doveva essere CALESA, mentre ARMENTO l'attuale nome, sembra derivare da “ARIMIENTO” che significa “terra da pascolare”, secondo altre fonti invece ARMENTO deriva da “ARMAMENTARIUM” indicato come luogo di deposito di munizioni e come fabbrica di armi. Testimonianza della presenza greca in questo territorio sono i ritrovamenti di alcuni vasi di ceramica risalenti al VII-IV sec. a.C., e altri oggetti in bronzo, in rame, in oro e argento, scoperti in località Serra Lustrante,oggi conservati nei più importanti musei d'Europa. A Monaco si trova la famosa Corona di Crittonio, fatta con foglie e rami d'ulivo e d'alloro intrecciati, scoperta alla fine del 1700.

 

COSE DA VEDERE

Santuario di Eracle: a Serra Lustrante di Armento, si sviluppa a partire dalla seconda metà del IV sec. a.C. un'importante area sacra con un Santuario dedicato ad Eracle. Fin dagli inizi dell'Ottocento, in tutto il bacino interno dell'Agri e del Sinni, numerosi furono gli scavi effettuati per conto del Regio Museo di Napoli e condotti da funzionari o personalità locali spesso in rapporto con grandi collezionisti o musei europei dell'epoca. Tra i rinvenimenti più importanti nel sito di Armento, sono famosi quelli del 1814, come la celebre corona aurea di Critonios e la statua bronzea del Satiro inginocchiato, ora conservate nel Museo di Monaco di Baviera.

Di grande interesse artistico e la chiesa di S. Luca Abate, che conserva numerose opere appartenenti al Monastero Basiliano, in particolare un trittico che rappresenta la Madonna col Bambino e i Santi Luca e Vitale. Molto bella é anche la chiesa Madre, che conserva un polittico del XVI sec. e un quadro della Madonna del 1600.

Caratteristica è la cappella di San Vitale in cui sono conservati affreschi raffiguranti episodi della vita del Santo del 1630, ed un quadro del Crocifisso con San Nicola e San Michele Arcangelo. Interessante é anche la cappella di Sant'Antonio che conserva affreschi raffiguranti la Madonna Assunta in Cielo, e la Cappella di San Luca che conserva oltre un quadro su tela del XVIII sec. raffigurante la Madonna con Santo Stefano e San Lorenzo, anche la statua lignea di San Vitale del XVIII sec..

Il piccolo paese è centro di richiamo religioso in quanto sede del Palazzo Vescovile, dimora estiva del Vescovo di Tricarico.

 

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